Pinocchio: un libro parallelo, di Giorgio Manganelli

Parzialmente tratto da Parallelismi e Traduzione: il caso Manganelli 

legenda: con LP si intende il testo Libro Parallelo

Le avventure di Pinocchio – oggi – può significare due cose: il titolo del libro di Collodi, ovviamente, ma anche le peripezie che questo libro ha vissuto nel tempo e nello spazio. Da un parte ci sono, nel testo, le avventure del burattino protagonista; dall’altra, nella semiosfera, le avventure del testo stesso, che ha attraversato culture, lingue, media, arti molto diversi, restando però, in un modo o nell’altro, sempre uguale a se stesso. […]
In occasione del centenario dell’apparizione del personaggio sul Giornale per i bambini, Italo Calvino aveva provato a fornire una spiegazione testuale interna della straordinaria fortuna dell’opera di Collodi: Il segreto di questo libro, in cui sembra che nulla sia calcolato, che la trama sia decisa volta per volta a ogni puntata di quel settimanale […], sta nella necessità interna del suo ritmo, della sua sintassi d’immagini e metamorfosi, che fa sì che un episodio deva seguire un altro in una concatenazione propulsiva. (Calvino 1981, p. 803)
Questo ritmo narrativo efficace, secondo Calvino, è la ragione delle due grandi caratteristiche del libro che ne hanno garantito “la fama estesa a tutto il pianeta e a tutti gli idiomi”, nonché “la capacità di sopravvivere indenne ai mutamenti del gusto, delle mode, del linguaggio, del costume senza mai conoscere periodi d’eclisse e d’oblio” (id., p. 801). La prima caratteristica de Le avventure di Pinocchio è per Calvino quella di possedere un enorme “potere genetico”, tale per cui il romanzo di Collodi è diventato più o meno consapevolmente un modello per qualsiasi narrazione e, addirittura, per qualsiasi forma di scrittura (“dato che questo è il primo libro che tutti incontrano dopo l’‘abbecedario’ (o prima)”, id., p. 803). La sua seconda caratteristica sta invece nella capacità “d’offrirsi alla perpetua collaborazione del lettore, per essere analizzato e chiosato e smontato e rimontato, operazioni sempre utili se compiute rispettando il testo e solo quello che c’è scritto” (id., p. 804). Si spiega così l’infinito proliferare di testi intorno a Pinocchio […]
C’è però un testo, dice Calvino, che riesce a mescolare sapientemente pinocchiesco e pinocchiologia, essendo al tempo stesso una scrittura e una lettura, una riscrittura e un commento, una nuova narrazione intorno al personaggio e un’ennesima interpretazione del libro che lo contiene. Si tratta di Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli (1977): “l’uso più appropriato [di Pinocchio] – scrive allora Calvino (id., p. 804) – è quello che ne ha fatto Manganelli […] scrivendoci un libro sopra (letteralmente) senza cancellare il libro che c’è sotto”.
[…]
… osserviamo che un autore che s’è accanitamente occupato sia di menzogna sia di Pinocchio non associa mai le due cose, per il semplice motivo che dal suo punto di vista Pinocchio non è affatto l’eroe eponimo della bugia. E nelle centosettantadue pagine di LP infatti, quando si parlerà di menzogna, non la si attribuirà mai al burattino ma semmai alla fata dai capelli turchini: è lei che, se pure a fini pedagogici, propina al burattino una triste sequela di inverosimili menzogne, non il burattino stesso, impegnato in faccende e problemi di tutt’altro tipo. Ecco già una prima, manganelliana inversione del senso comune, appartenente a una lunga serie che in LP ci abitueremo presto a riconoscere. In secondo luogo, va ricordato che prima di LP Manganelli aveva scritto due brevi articoli su Pinocchio, nei quali si fornisce una precisa interpretazione del libro di Collodi, la quale riecheggia in parte nel libro del ’77. 
Il primo di questi scritti (Manganelli, 1968) enuncia una tesi che anticipa – e oltrepassa – la nota interpretazione pinocchiologica fornita da Garroni (1975): per Manganelli, Pinocchio sarebbe una particolare manifestazione del trickster, ma con una caratteristica molto particolare, quella d’essere strutturalmente suicida. Il ragionamento è il seguente: in quanto irregolare, Pinocchio vive una tragica situazione di solitudine nella quale è costantemente in relazione con esseri che ne vogliono la morte (“Pinocchio deve morire”). Ma alla morte egli sfugge proprio grazie alla sua diversità, al suo essere burattino di legno “senza origine né nascita”: galleggia quando viene gettato in mare, i coltelli gli si spezzano contro, guarisce presto dalle malattie, non può nemmeno strapparsi i capelli perché gli sono stati dipinti sulla testa. Di conseguenza, Pinocchio resiste a qualsiasi reale trasformazione narrativa, non fa passi avanti, non impara nulla, non si forma un carattere o una personalità adulti, e semmai sono gli altri – dai “genitori” Geppetto e Fata turchina a molti altri – che si modificano al suo cospetto. Ma questa situazione di irrealtà, questa sua radicale negatività non può durare in eterno: e l’unica soluzione è quella di darsi la morte, di decidere di punto in bianco, senza alcuna motivazione intrinseca, di cambiare, di diventare un “bambino normale”, sostanzialmente di suicidarsi. Nell’articolo successivo (Manganelli, 1970) l’idea viene ripresa dal punto di vista del lettore: “la conclusione di Pinocchio fu per molti di noi il primo trauma intellettuale”; questo perché la metamorfosi porta Pinocchio a perdere “l’unicità e la libertà” e a diventare un ragazzino “come tutti gli altri”. Diventare adulti è diventare uguali, e Pinocchio decide di farlo nonostante sappia che si tratta di una perdita irreparabile, violenta, senza scampo o possibilità di ritorni.
Manganelli insomma, com’era suo costume, legge il libro di Collodi in chiave antifrastica, invertendo sia gli stereotipi più triti relativi al personaggio sia la tradizionale chiave di lettura pedagogica. Ritroveremo in LP questa tendenza a invertire le valorizzazioni: tutto ciò che la morale comune pone come positivo (le istituzioni scolastiche, il pedagogismo, il buon senso, la giustizia etc.) per Manganelli sono negative, e viceversa, tutto ciò che generalmente è negativo (per es. la prigione) in LP diviene positivo. Per Manganelli la coazione a ripetere di Pinocchio, il suo essere refrattario all’esperienza, il suo restare sempre uguale a dispetto delle continue metamorfosi che tutti cercano di imporgli fanno sì che il libro non sia affatto – come molti pensano – un romanzo di formazione, ma la storia di una morte annunciata e raggiunta solo, diciamo così, per stanchezza. Alla fine, Pinocchio si suicida, decidendo di fare tutte quelle cose che aveva sempre odiato, innanzitutto lavorare, e che gli consentono di diventare finalmente un ragazzino come tutti gli altri, rinnegando la sua natura fantastico-vegetale, e soprattutto il suo celebre, fanciullesco programma narrativo: “mangiare, bere, dormire, e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo”.
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Così, per esempio, per quel che riguarda la natura degli attori e le loro relazioni reciproche, Manganelli torna spesso sulla distinzione tra uomini, animali e vegetali (tre condizioni a cui Pinocchio partecipa, in modo diverso a seconda delle varie situazioni narrative), senza però correlarla a un qualche altro paradigma testuale che possa farle semi-simbolicamente da contenuto. Viene osservato per esempio che gli unici umani ad Acchiappacitrulli sono il carceriere della prigione e il giovane imperatore. Vengono distinti gli animali che parlano da quelli che non lo fanno. Vengono notati gli animali che sostituiscono il grillo (come la lucciola) e, in generale, i vari tipi di animali (per es. tutti i cani: Medoro, Melampo, Alidoro…). Tra i vegetali, infine, ci sono le marionette del teatrino di Mangiafuoco (unici esseri legnosi come Pinocchio), ma anche il martello “consanguineo” del protagonista, la porta in cui egli rimane incastrato o il geranio appassito del IV capitolo. Un’altra isotopia su cui LP si sofferma parecchio è quella dei colori, che porta per esempio a mettere in relazione la barba nera di Mangiafuoco con quella bianca dello scimmione giudice della città di Acchiappacitrulli, o a mettere in relazione il verde del Serpente con quello del ranocchio e, ovviamente, quello del pescatore.
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In generale, sembra che la tendenza principale di LP sia quella di forzare appositamente il tono fantastico del libro, sottoponendolo a una strettissima quanto improbabile logica della verosimiglianza. Per cui si interroga su cose come: che cosa contiene l’armadio di mastro Ciliegia? chi ha dipinto il trompe-l’oeil a casa di Geppetto? chi sono i nemici battuti dall’imperatore giovane di Acchiappacitrulli?
Tutto in Pinocchio, per Manganelli, può avere un significato, dai nomi propri dei personaggi (Geppetto, Eugenio, Alidoro) agli esseri senza nome (il colombo del XXIII capitolo, portando Pinocchio nel nuovo mondo, viene battezzato Cristoforo, sino agli stessi refusi (“era una nottataccia d’inverno”, nell’incipit del VI capitolo, diviene “era una nottataccia d’inferno” in una delle versioni consultate, aprendo così una lunga isotopia diabolica facilmente giustificabile da molteplici elementi testuali. E questi significati vengono attribuiti secondo criteri molteplici e multiformi, dove anche la psicanalisi (la pancia del pesce-cane come utero materno e la tradizione evangelica (Geppetto, falegname, è Giuseppe, falegname  vengono tirati in ballo.

Commenti

  1. Sai che ieri ho cominciato a scrivere un post riguardo a Pinocchio e dopo avevo visto che avevi scritto il tuo?
    Così ho voluto mettere il link.
    Le riletture le trovo interessanti. Innanzitutto devono essere fatte bene e poi alcune volte mettono alla luce significati celati, dettagli. Il punto è spesso le riletture vengono fatte male pensando che basta cambiare qualcosa del personaggio per far sì che vada bene.

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    1. E sai che in questo momento ne sto scrivendo un altro? A me è piaciuto davvero molto il libro di Giorgio Manganelli, da leggere con accanto il testo originale delle Avventure di Pinocchio. Grazie per il link, dopo lo metto anch'io al tuo post, magari lo inserisco al post che sto scrivendo adesso.

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    2. E io ti ringrazio per avermi segnalato le due canzoni. Sai che non le conoscevo per niente? Bennato mi piace parecchio. Pensa che Il Rock di Capitan Uncino è stato il mio primo cd che ho preso da bambina. Andavo alle elementari e lo conservo tuttora.
      Mi sa che mi hai dato lo spunto per un nuovo post.

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    3. Eh cara giovincella! Anch'io Bennato lo seguo da quando andavo alle elementari, solo che ci andavo già nel 1977 e quell'anno comprai proprio "Burattino senza fili" che, "ai miei tempi" si chiamava LP. Mi sa che ci linkeremo ancora. Saluti dalla vecchietta :)

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    4. Eh sì sarà nostro destino linkarci di continuo XD
      Comunque cos'è la vecchiaia di fronte alla possibilità di tener vivo il nostro bambino interiore? La vecchiaia non esisterà, ma solo la maturazione come un autunno dove le foglie non cadranno, ma danzeranno ;)
      Ciao giovincella!

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  2. Che bello vedere le sinergie tra te e AlmaCattleya!

    Io sul blog ho parlato solo del Grillo Parlante, fino a ora, ma del libro di Collodi riparlerò prima o poi!

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