Fiabe e trascrizione cinematografiche: Le scarpe rosse


Per gentile concessione di Giulia Oddolini, oggi vi propongo il terzo post sulla trascrizione cinematografica di alcune fiabe di Andersen: Scarpette Rosse. Giulia Oddolini (profilo facebook) è laureata in Lingue e Letterature Straniere con tesi in Letterature Nordiche. Prossimamente Scarpe Rosse e il Tenace soldatino di stagno. 
Post già pubblicati: La Sirenetta, La Piccola Fiammiferaia

Illustrazione di Alejandro Dini (sito dell'autore)
Altre immagini de La Piccola Fiammiferaia
su L'Antro della Fiaba
In una versione giapponese, distribuita in Italia dalla ITB (Italian TV Broadcasting s. r. l.), il finale tragico viene sostituito dal lieto fine, Karen scopre di aver sognato i fatti tristi e dolorosi avvenuti in seguito all’invito al ballo. La bambina aveva immaginato di aver indossato le scarpette rosse per la seconda volta e, in balia di una danza irrefrenabile, di aver abbandonato la vecchia signora sul letto di morte. I suoi piedi l’avevano portata da una parte all’altra della città e poi nel bosco, luogo tenebroso. Dopo aver assistito alla processione di un funerale, si rammenta della vecchia signora che ha abbandonato e inizia a pregare Dio, affinché la perdoni e annulli il maleficio delle scarpe; si sveglia di soprassalto e si ritrova accanto al letto della sua benefattrice, la abbraccia e ringrazia il Signore per averla salvata. [2] In questa storia il tema della sofferenza che conduce alla morte viene evitato grazie all’espediente del sogno, ma così facendo la storia si allontana troppo dall’originale e lo scopo psicologico di ammonimento per le donne lettrici viene trasmesso in modo meno violento, così è più probabile che la storia non sortisca l’effetto desiderato.[3]
Tra le fiabe di Andersen questa si colloca fra le più tragiche, poiché oltre al dolore dato dalla danza inarrestabile e dalla morte, la bambina si ritrova costretta a chiedere al boia di amputarle le gambe pur di smettere di ballare:
“Non tagliarmi la testa!” disse Karen. “Altrimenti non potrò pentirmi dei miei peccati! Ma tagliami i piedi con le scarpe rosse!”.

E così confessò tutti i suoi peccati e il boia le tagliò i piedi con le scarpe rosse, ma le scarpe continuarono a ballare con i piedini attaccati, verso i campi e nel bosco profondo.[4]
Grazie a questa azione è possibile per la protagonista tornare a vivere, ma dal momento che la manca una base su cui costruire, nonostante abbia smesso di danzare, non le rimane che morire e vivere la sua seconda possibilità in Paradiso.[5]
In particolare, nel cartone animato del programma per bambini “Il Castello delle Fiabe”, che si rivela essere molto simile all’originale, l’amputazione viene rappresentata, ma mentre nell’originale non riesce ad entrare in chiesa, perché tutte le volte vede davanti all’entrata i suoi piedi dentro le scarpette, nel cartone animato scappano nel bosco e non si presentano più, così la bambina può pregare tutti i giorni in chiesa e inizia anche a lavorarci, finché non le appare un angelo che la porta in cielo con sé, poiché Dio l’ha perdonata.[6]
Andersen, attraverso la figura di Karen, desidera svelare le crepe all’interno del mondo borghese, soprattutto nei confronti delle convenzioni religiose, che vengono incarnate dalla vecchia signora, che decide di allevare la bambina secondo le proprie convinzioni religiose, senza tener conto della vita semplice e “naturale” condotta da Karen fino a quel momento.[7] Inoltre, le prime scarpe rosse rappresentano l’ultimo ricordo della madre che le era rimasto e perdendole abbandona anche la sua identità originaria; dal momento che questa perdita non viene mai elaborata e interiorizzata la sua vita e il suo corpo vengono tagliati in due.[8] La vecchia signora viene sempre rappresentata nei cartoni come nella fiaba di Andersen,[9] cioè come custode dei principi della tradizione, inoltre è sempre attenta all’opinione della collettività e si comporta di conseguenza, è quindi il simbolo della forza senescente utilizzata in modo negativo.[10] Difatti, la compassione che la spinge ad adottare Karen è solo un espediente per poter esporre la bambina come un trofeo e mettersi in evidenza, allo stesso modo il rimprovero che muove verso la bambina per aver indossato le scarpe rosse è dettato dalle parole riferitele da altre persone:
Nel pomeriggio la vecchia signora venne a sapere da tutti delle scarpe rosse e disse che era una brutta cosa, che era sconveniente e che da quel momento Karen avrebbe sempre indossato le scarpe nere per andare in chiesa, anche se erano vecchie.[11]
Nel 1948 esce il film The Red Shoes (Scarpette rosse, 1948) con regia e sceneggiatura di Michael Powell, Emeric Pressburger. Vi riporto un brevissimo sunto e invitandovi a leggere il post originale e a visitare il sito http://giulianocinema.blogspot.it

Moira Shearer interprete
di The Red Shoes, 1948
E’ un film che è stato famoso, famosissimo, e che oggi è stato quasi dimenticato: ed è un vero peccato. E’ un film sul balletto, ma detto questo non si è detto niente. E’ un film sul Teatro, ma anche questo non basta per definire il film. […] E’ un film morboso, sontuoso, gotico, onirico, espressionista: non ho parole. I colori sono meravigliosi, da favola.
[…] Questo film vecchio, ormai vecchissimo, ha però uno spessore, un’altezza, una profondità, è come la bottega di un ebanista o di un falegname: ha anche un odore, l’odore del teatro, del legno e della polvere, e dei velluti. Sembra di essere lì, come nelle migliori occasioni: dentro al film, e dentro al teatro.
Non c’è grande musica, in “Scarpette rosse”: Brian Easdale non è Stravinskij e nemmeno Gershwin, però ruba molto da tutti e due (Petrushka, e un po’ di swing.).
[…] La musica di Brian Easdale, abituale collaboratore di Powell e Pressburger, è diretta da sir Thomas Beecham: peccato che non lo si veda nel film. Bisogna però dire che è musica perfetta per il film, piacevole e molto funzionale. Non ci potrebbe essere musica diversa da questa, in “Scarpette rosse”.
[…] Al cinema, e nelle narrazioni, non si può barare (e nemmeno quando si raccontano le barzellette). Il soggetto va sempre affrontato: lo si dichiara in partenza e non lo si può più eludere, come il drago di Sigfrido o come le Sirene. Se si nomina il drago, il Drago ci deve essere; e deve essere fatto a meraviglia. Qui sei arrivato, e qui devi saltare; e Powell-Pressburger saltano, eccome se saltano. Un film come questo non può prescindere dal Ballo, e il Ballo c’è, ed è grande e meraviglioso. Bello anche per chi non ama il balletto, e tutto da vedere anche dopo sessant’anni. (Link al post)
Sul blog Obsidian Mirror, recensione del film di produzione coreana The Red Shoes (분홍신, Bunhongsin, 2005). 


Fonti:
[2] Le scarpette rosse, Toei Animation, ITB (Italian TV Broadcasting s. r. l.), 1980 
[3] C. P. Estés, Donne che corrono coi lupi, cit., p. 227 
[4] H. C. Andersen, Fiabe e storie, cit., p. 264 
[5] C. P. Estés, Donne che corrono coi lupi, cit., p. 264 
[6] Le scarpette rosse, “Il Castello delle Fiabe”, Armando Curcio Editore, 1983 
[7] F. H. Mortensen, Little Ida’s Red Shoes, in “Scandinavian Studies”, 77/4, 2005, p. 435, 436 
[8] Ibidem, p. 437 
[9] Le Scarpette Rosse, “Fiabe…Così”, Rai 1, regia di H. Nishimaki e K. Doya, Dax Productions, 1983 
[10] C. P. Estés, Donne che corrono coi lupi, cit., p. 234 
[11] H. C. Andersen, Fiabe e storie, cit., p. 262

Commenti

  1. Quando nel mio blogroll leggo "scarpette rosse" mi fiondo sempre a cliccare come un'ape sul miele. E stavolta ho fatto ancora di più bene, perché scopro che incredibilmente qualcuno ancora si ricorda di quel mio vecchio post che risale ormai a diverse ere geologiche fa.
    Una storia davvero agghiacciante questa dei piedi amputati. Davvero non capisco come sia possibile per un bambino, che se la sente raccontare, riuscire a dormirci la notte....

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    1. Il tuo post è indimenticabile come, presumo, l'immagine dei piedi amputati! A me sembra impossibile anche avere ideato una fiaba così "terribile"; le fiabe sono ricche di immagini cruente ma questa, paradossalmente, è più "viva" di altre. Grazie Obsidian M. :)

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