Parzialmente tratto da Parallelismi e Traduzione: il caso Manganelli
legenda: con LP si intende il testo Libro Parallelo
Le avventure di Pinocchio – oggi – può
significare due cose: il titolo del libro di Collodi, ovviamente, ma anche le
peripezie che questo libro ha vissuto nel tempo e nello spazio. Da un parte ci
sono, nel testo, le avventure del burattino protagonista; dall’altra, nella
semiosfera, le avventure del testo stesso, che ha attraversato culture, lingue,
media, arti molto diversi, restando però, in un modo o nell’altro, sempre
uguale a se stesso. […]
In occasione del
centenario dell’apparizione del personaggio sul Giornale per i bambini, Italo
Calvino aveva provato a fornire una spiegazione testuale interna della
straordinaria fortuna dell’opera di Collodi: Il segreto di questo libro, in cui sembra che nulla sia calcolato, che
la trama sia decisa volta per volta a ogni puntata di quel settimanale […], sta
nella necessità interna del suo ritmo, della sua sintassi d’immagini e
metamorfosi, che fa sì che un episodio deva seguire un altro in una
concatenazione propulsiva. (Calvino 1981, p. 803)
Questo ritmo narrativo
efficace, secondo Calvino, è la ragione delle due grandi caratteristiche del
libro che ne hanno garantito “la fama estesa a tutto il pianeta e a tutti gli
idiomi”, nonché “la capacità di sopravvivere indenne ai mutamenti del gusto,
delle mode, del linguaggio, del costume senza mai conoscere periodi d’eclisse e
d’oblio” (id., p. 801). La prima caratteristica de Le avventure di Pinocchio è per Calvino quella di possedere un enorme
“potere genetico”, tale per cui il romanzo di Collodi è diventato più o meno
consapevolmente un modello per qualsiasi narrazione e, addirittura, per
qualsiasi forma di scrittura (“dato che questo è il primo libro che tutti
incontrano dopo l’‘abbecedario’ (o prima)”, id., p. 803). La sua seconda
caratteristica sta invece nella capacità “d’offrirsi alla perpetua
collaborazione del lettore, per essere analizzato e chiosato e smontato e
rimontato, operazioni sempre utili se compiute rispettando il testo e solo
quello che c’è scritto” (id., p. 804). Si spiega così l’infinito proliferare di
testi intorno a Pinocchio […]
C’è però un testo, dice
Calvino, che riesce a mescolare sapientemente pinocchiesco e pinocchiologia,
essendo al tempo stesso una scrittura e una lettura, una riscrittura e un
commento, una nuova narrazione intorno al personaggio e un’ennesima
interpretazione del libro che lo contiene. Si tratta di Pinocchio: un libro
parallelo di Giorgio Manganelli (1977): “l’uso
più appropriato [di Pinocchio] – scrive allora Calvino (id., p. 804) – è quello
che ne ha fatto Manganelli […] scrivendoci un libro sopra (letteralmente) senza
cancellare il libro che c’è sotto”.
[…]
… osserviamo che un
autore che s’è accanitamente occupato sia di menzogna sia di Pinocchio non
associa mai le due cose, per il semplice motivo che dal suo punto di vista
Pinocchio non è affatto l’eroe eponimo della bugia. E nelle centosettantadue
pagine di LP infatti, quando si parlerà di menzogna, non la si attribuirà mai
al burattino ma semmai alla fata dai capelli turchini: è lei che, se pure a
fini pedagogici, propina al burattino una triste sequela di inverosimili
menzogne, non il burattino stesso, impegnato in faccende e problemi di
tutt’altro tipo. Ecco già una prima, manganelliana inversione del senso comune,
appartenente a una lunga serie che in LP ci abitueremo presto a riconoscere. In
secondo luogo, va ricordato che prima di LP Manganelli aveva scritto due brevi
articoli su Pinocchio, nei quali si fornisce una precisa interpretazione del
libro di Collodi, la quale riecheggia in parte nel libro del ’77.
Il primo di
questi scritti (Manganelli, 1968) enuncia una tesi che anticipa – e oltrepassa
– la nota interpretazione pinocchiologica fornita da Garroni (1975): per
Manganelli, Pinocchio sarebbe una particolare manifestazione del trickster, ma
con una caratteristica molto particolare, quella d’essere strutturalmente
suicida. Il ragionamento è il seguente: in quanto irregolare, Pinocchio vive una
tragica situazione di solitudine nella quale è costantemente in relazione con
esseri che ne vogliono la morte (“Pinocchio deve morire”). Ma alla morte egli
sfugge proprio grazie alla sua diversità, al suo essere burattino di legno
“senza origine né nascita”: galleggia quando viene gettato in mare, i coltelli
gli si spezzano contro, guarisce presto dalle malattie, non può nemmeno
strapparsi i capelli perché gli sono stati dipinti sulla testa. Di conseguenza,
Pinocchio resiste a qualsiasi reale trasformazione narrativa, non fa passi
avanti, non impara nulla, non si forma un carattere o una personalità adulti, e
semmai sono gli altri – dai “genitori” Geppetto e Fata turchina a molti altri –
che si modificano al suo cospetto. Ma questa situazione di irrealtà, questa sua
radicale negatività non può durare in eterno: e l’unica soluzione è quella di
darsi la morte, di decidere di punto in bianco, senza alcuna motivazione
intrinseca, di cambiare, di diventare un “bambino normale”, sostanzialmente di
suicidarsi. Nell’articolo successivo (Manganelli, 1970) l’idea viene ripresa
dal punto di vista del lettore: “la conclusione di Pinocchio fu per molti di
noi il primo trauma intellettuale”; questo perché la metamorfosi porta
Pinocchio a perdere “l’unicità e la libertà” e a diventare un ragazzino “come
tutti gli altri”. Diventare adulti è diventare uguali, e Pinocchio decide di
farlo nonostante sappia che si tratta di una perdita irreparabile, violenta,
senza scampo o possibilità di ritorni.
Manganelli insomma,
com’era suo costume, legge il libro di Collodi in chiave antifrastica,
invertendo sia gli stereotipi più triti relativi al personaggio sia la tradizionale
chiave di lettura pedagogica. Ritroveremo in LP questa tendenza a invertire le
valorizzazioni: tutto ciò che la morale comune pone come positivo (le
istituzioni scolastiche, il pedagogismo, il buon senso, la giustizia etc.) per
Manganelli sono negative, e viceversa, tutto ciò che generalmente è negativo
(per es. la prigione) in LP diviene positivo. Per Manganelli la coazione a
ripetere di Pinocchio, il suo essere refrattario all’esperienza, il suo restare
sempre uguale a dispetto delle continue metamorfosi che tutti cercano di
imporgli fanno sì che il libro non sia affatto – come molti pensano – un
romanzo di formazione, ma la storia di una morte annunciata e raggiunta solo,
diciamo così, per stanchezza. Alla fine, Pinocchio si suicida, decidendo di
fare tutte quelle cose che aveva sempre odiato, innanzitutto lavorare, e che
gli consentono di diventare finalmente un ragazzino come tutti gli altri,
rinnegando la sua natura fantastico-vegetale, e soprattutto il suo celebre,
fanciullesco programma narrativo: “mangiare, bere, dormire, e fare dalla
mattina alla sera la vita del vagabondo”.
[…]
Così, per esempio, per
quel che riguarda la natura degli attori e le loro relazioni reciproche,
Manganelli torna spesso sulla distinzione tra uomini, animali e vegetali (tre
condizioni a cui Pinocchio partecipa, in modo diverso a seconda delle varie
situazioni narrative), senza però correlarla a un qualche altro paradigma
testuale che possa farle semi-simbolicamente da contenuto. Viene osservato per
esempio che gli unici umani ad Acchiappacitrulli sono il carceriere della
prigione e il giovane imperatore. Vengono distinti gli animali che parlano da
quelli che non lo fanno. Vengono notati gli animali che sostituiscono il grillo
(come la lucciola) e, in generale, i vari tipi di animali (per es. tutti i
cani: Medoro, Melampo, Alidoro…). Tra i vegetali, infine, ci sono le marionette
del teatrino di Mangiafuoco (unici esseri legnosi come Pinocchio), ma anche il
martello “consanguineo” del protagonista, la porta in cui egli rimane
incastrato o il geranio appassito del IV capitolo. Un’altra isotopia su cui LP
si sofferma parecchio è quella dei colori, che porta per esempio a mettere in
relazione la barba nera di Mangiafuoco con quella bianca dello scimmione
giudice della città di Acchiappacitrulli, o a mettere in relazione il verde del
Serpente con quello del ranocchio e, ovviamente, quello
del pescatore.
[…]
In generale, sembra che
la tendenza principale di LP sia quella di forzare appositamente il tono
fantastico del libro, sottoponendolo a una strettissima quanto improbabile
logica della verosimiglianza. Per cui si interroga su cose come: che cosa
contiene l’armadio di mastro Ciliegia? chi ha dipinto il trompe-l’oeil a casa
di Geppetto? chi sono i nemici battuti dall’imperatore giovane di
Acchiappacitrulli?
Tutto in Pinocchio, per
Manganelli, può avere un significato, dai nomi propri dei personaggi (Geppetto,
Eugenio, Alidoro) agli esseri senza nome (il colombo del XXIII capitolo,
portando Pinocchio nel nuovo mondo, viene battezzato Cristoforo,
sino agli stessi refusi (“era una nottataccia d’inverno”, nell’incipit del VI
capitolo, diviene “era una nottataccia d’inferno” in una delle versioni
consultate, aprendo così una lunga isotopia diabolica facilmente giustificabile
da molteplici elementi testuali. E questi significati
vengono attribuiti secondo criteri molteplici e multiformi, dove anche la
psicanalisi (la pancia del pesce-cane come utero materno e la
tradizione evangelica (Geppetto, falegname, è Giuseppe, falegname vengono tirati in ballo.
Sai che ieri ho cominciato a scrivere un post riguardo a Pinocchio e dopo avevo visto che avevi scritto il tuo?
RispondiEliminaCosì ho voluto mettere il link.
Le riletture le trovo interessanti. Innanzitutto devono essere fatte bene e poi alcune volte mettono alla luce significati celati, dettagli. Il punto è spesso le riletture vengono fatte male pensando che basta cambiare qualcosa del personaggio per far sì che vada bene.
E sai che in questo momento ne sto scrivendo un altro? A me è piaciuto davvero molto il libro di Giorgio Manganelli, da leggere con accanto il testo originale delle Avventure di Pinocchio. Grazie per il link, dopo lo metto anch'io al tuo post, magari lo inserisco al post che sto scrivendo adesso.
EliminaE io ti ringrazio per avermi segnalato le due canzoni. Sai che non le conoscevo per niente? Bennato mi piace parecchio. Pensa che Il Rock di Capitan Uncino è stato il mio primo cd che ho preso da bambina. Andavo alle elementari e lo conservo tuttora.
EliminaMi sa che mi hai dato lo spunto per un nuovo post.
Eh cara giovincella! Anch'io Bennato lo seguo da quando andavo alle elementari, solo che ci andavo già nel 1977 e quell'anno comprai proprio "Burattino senza fili" che, "ai miei tempi" si chiamava LP. Mi sa che ci linkeremo ancora. Saluti dalla vecchietta :)
EliminaEh sì sarà nostro destino linkarci di continuo XD
EliminaComunque cos'è la vecchiaia di fronte alla possibilità di tener vivo il nostro bambino interiore? La vecchiaia non esisterà, ma solo la maturazione come un autunno dove le foglie non cadranno, ma danzeranno ;)
Ciao giovincella!
Che bello vedere le sinergie tra te e AlmaCattleya!
RispondiEliminaIo sul blog ho parlato solo del Grillo Parlante, fino a ora, ma del libro di Collodi riparlerò prima o poi!
Anch'io continuerò a perseguitarvi con Pinochio...
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